Ad ogni stagione notizie inesatte e tendenziose vengono veicolate via web o media riguardanti l’influenza aviaria. Alcuni additano “untori” individuandoli nelle categorie di allevatori di altre specie protestandosi esenti.

La F.I.A.V. ha richiesto una relazione in merito al Dott. Alessandro Guerrini dell’Università di Bologna, membro della commissione tecnica sanitaria neo istituita all’interno della F.I.A.V. stessa, in modo da provare a fare chiarezza, e permettere a chi leggerà di farsi un’idea circa l’attendibilità di certe valutazioni troppo facilmente veicolate a prescindere da conoscenze reali della situazione.


Relazione sull’influenza aviaria

L’Influenza aviaria (IA) è un’infezione virale estremamente contagiosa causata dai virus della famiglia Orthomyxoviridae, genere Influenza-virus tipo A, virus a RNA provvisto di envelope. I virus dell’influenza A contengono nucleoproteine antigenicamente correlate e proteine di matrice antigenicamente correlate, emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA), importanti nella classificazione in sottotipi.

Finora si conoscono 16 sottotipi HA (H1–H16) e 9 sottotipi NA (N1–N9). Ogni virus influenzale possiede quindi un antigene HA e un antigene NA, apparentemente in qualsiasi combinazione. Sono suddivisi in due gruppi, a seconda della loro capacità di provocare la malattia nel pollame e specie domestiche (pollo, gallina tacchino, anatra, oca, fagiano, struzzo,quaglia) suscettibile all’infezione: alta patogenicità (HPAI), che causano una malattia estremamente grave, caratterizzata da un’infezione generalizzata del volatile colpito, nel quale possono indurre una mortalità in allevamento molto elevata (fino al 100 %) e bassa patogenicità (LPAI), che provocano nel pollame e negli uccelli colpiti una sintomatologia lieve o talvolta inapparente, prevalentemente respiratoria, salvo aggravamento dovuto ad altre co-infezioni o ad altri fattori.

I virus dell’influenza A sono gli unici Orthomyxovirus di cui sia accertata la capacità di infettare i volatili. È stato dimostrato che molte specie di volatili sono suscettibili all’infezione da parte dei virus dell’influenza A. I volatili selvatici, soprattutto gli uccelli acquatici migratori, in particolare volatili acquatici appartenenti agli ordini Anseriformi (anatre, oche, cigni ecc) e Charadriformi (Gabbiani e Sterne), Gruiformi (folaghe) e Passeriformi, svolgono un ruolo molto importante quale serbatoio del virus influenzale A, come dimostrato dall’isolamento di quasi tutte le combinazioni possibili dei sottotipi HA e NA in tali animali.

La particolare etologia di queste specie, caratterizzata dalla tendenza a vivere in gruppi numerosi, la possibilità di compiere lunghe migrazioni e l’affinità per l’ambiente acquatico (via di diffusione del virus) li rendono degli ospiti ideali. In genere, nei volatili selvatici vengono rilevati soltanto i virus LPAI, salvo nel caso di trasmissione (spill—over) dell’HPAI da pollame infetto. La trasmissione del virus avviene per via orizzontale, tramite contatto diretto di animali sani con animali infetti, tramite feci, secrezioni orali e congiuntivali, tramite mangime e acqua di bevanda contaminata. E’ stato accertato che il piumaggio degli uccelli, in particolare degli anatidi, accumula abbondante carica virale, consentendo, con le normali mansioni di pulizia del piumaggio e lucidatura con il grasso della ghiandola uropigiale, la diffusione e sopravvivenza del virus stesso.

Le specie che fungono da serbatoio epidemiologico, avendo la capacità di infettarsi con diversi sottotipi contemporaneamente, assicurano le condizioni necessarie per il riassortimento genetico e consentono quindi la persistenza dei virus dell’influenza aviaria in natura e la comparsa di nuove varianti. I virus influenzali hanno avuto nel corso del tempo la capacità di adattarsi alle specie serbatoio andando verso una completa attenuazione della patogenicità nell’ospite anseriforme. Questi uccelli consentono quindi la permanenza in natura dei soli virus a bassa patogenicità.

I focolai sostenuti da virus ad alta patogenicità negli uccelli selvatici sono molto rari in natura, in quanto non rappresentano una strategia eco-biologica vincente: anche per lo stesso virus risulta poco conveniente uccidere il serbatoio attraverso il quale si moltiplica e si diffonde. In altre specie di uccelli il virus dell’influenza è stato isolato, quindi capace di infettare altri volatili sensibili e diffondere l’infezione; Psittacidi (Cacatuidi, Parrocchett ecc), Mynahs, uccelli tessitori, Fringuelli , Passeriformi, Accipitriniformi e rapaci quali i Falchi, sono volatili in gradi di mantenere l’infezione nell’ambiente e consentirne la diffusione (Disease of Poultry, 1994). In particolare, nel Germano Reale, risulta essere il volatile nel quale si è registrata la maggior prevalenza di isolamento di virus influenzali (Delogu., 2009, De Marco.,2014). Il canarino invece, noto uccello ampiamente allevato a scopo ornamentale, si è dimostrato sensibile al virus dell’Influenza aviaria, in particolare a ceppi a bassa patogenicità, rappresentando quindi un rischio nella diffusione dello stesso (Marchè et al., 2018).

Contrariamente a quanto si pensa, e spesso viene asserito, i volatili della classe ‘ornitologica’ non sono quindi esenti da rischi: andrebbero pertanto considerati reservoir del virus o animali sensibili di infezione, analogamente come il pollame domestico e galliformi selvatici (fagiano, pernice ecc). Infatti, nelle normali procedure routinarie di diagnosi in sede di esami autoptici di animali selvatici pervenuti presso Istituti Zooprofilattici, l’esame virologico e sierologico per IA, viene effettuato per default. Il ruolo del piccione nella diffusione del virus, come per la tortora, è stato per anni oggetto di studio. I dati scientifici, pubblicati da ricercatori in tale ambito, dimostrano oggi che il piccione e la tortora, non sono implicati nella diffusione del virus e quindi non hanno alcun ruolo epidemiologico (Abolnik., 2014).

L’introduzione primaria dei virus dell’IA nelle aziende avicole deriva dal contatto diretto o indiretto con volatili selvatici. Nel pollame domestico è possibile che tali virus LPAI introdotti da un serbatoio selvatico circolino senza essere rilevati, in quanto i segni clinici sono spesso leggeri o assenti. Una volta introdotti tra il pollame, i ceppi virali LPAI dei sottotipi H5 e H7 possono successivamente mutare in ceppi HPAI (le probabilità di una mutazione in virus HPAI siano tanto più elevate quanto più diffusa è la circolazione del virus LPAI tra il pollame). Fino ad ora è stato dimostrato che solo i virus dei sottotipi H5 e H7 provocano l’HPAI. E’ bene precisare che un virus influenzale patogeno per una specie non lo è necessariamente per un’altra, come nel caso della variante H5N9 – Ontario, capace di dare 100% di mortalità nei polli e tacchini ma risulta apatogeno per gli Anseriformi selvatici (Delogu., 2009).

In genere, l’infezione si diffonde più lentamente tra un insieme eterogeneo di volatili in cattività (allevamenti multi-specie), data la varietà di specie detenute che presentano una diversa sensibilità, livelli disomogenei di eliminazione del virus (shedding) e una trasmissione spesso relativamente modesta dovuta a un basso tasso di contatto e a densità di popolamento relativamente basse.

Come accennato precedentemente, l’influenza aviaria è una malattia altamente contagiosa dei volatili. Benché i virus influenzali umani ed aviari appartengano alla stessa famiglia e tipo, i virus aviari non sono in grado di trasmettersi con efficienza all’uomo, ma possono farlo sporadicamente ed in determinate condizioni, che prevedono un’esposizione attraverso il contatto diretto con volatili morti o ammalati, con superfici o materiali contaminati da escreti e secreti infetti (es. feci) o attraverso le mucose (orali, oculari, nasali), con aerosol infetti, o eventualmente attraverso il consumo di carni non cotte o sangue di volatili infetti.

Tali condizioni possibili di infezione umana sono molto comuni e scontate in allevamenti amatoriali, ornamentali o da autoconsumo di pollame o ornitologici dove non sono utilizzati per prassi i dispositivi di protezione individuale (DPI), ne tanto meno non esistono ne vengono adottate nell’ambito rurale dell’allevamento del pollame e dell’allevamento ornitologico le adeguate misure di bio-sicurezza necessarie (come indicato dalla normativa vigente) a limitare l’entrata del virus in allevamento o il contatto diretto o indiretto (feci, urina ecc) con animali selvatici.

Nei procedimenti adottati al fine di impedire o limitare la diffusione del virus ad allevamenti limitrofi o altre regioni, più è tempestivo ed efficace l’intervento per il controllo dell’infezione da virus influenzali in un allevamento infetto, minore è la probabilità di ulteriore diffusione della stessa e più contenuto sarà il numero di persone esposte e altri animali al rischio di contagio. Questo prevede quindi anche la limitazione o divieto di mostre, fiere e mercati di TUTTE le specie di volatili o altri animali ritenuti veicolo attivo o passivo del virus (canarini, pappagalli, altri volatili esotici o mammiferi).”

Dott. Alessandro Guerrini, Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie (Unibo)